Potrebbe sembrare un atteggiamento anacronistico fare musica lo-fi nel 2013, soprattutto se il genere è un folk con arie buskers, oppure come dicono loro ‘hardcore folk’.
Il primo pensiero porta ai primi anni 2000 quando dall’Inghilterra scendevano a frotte tutte la band del NAM (New Acoustic Movement) come Travis, Starsailor, I Am Kloot, Turin Brakes o i primi Coldplay.
I Pocket Chestnut citano Bright Eyes come maggiore influenza, ma dentro “Outness*” (l’asterisco non è un refuso) troviamo la chitarra sbilenca alla Pavement, alcune citazioni canore di Dylan, l‘andamento superiore dei Wilco e una sensazione positiva nell’assistere ai loro concerti.
Quindi da una parte prendono dall’Inghilterra il sapore pop applicato al suono acustico, mentre dagli Stati Uniti cercano una tradizione per risuscitarla. ù
L’unico punto negativo del quartetto (non si è ben capito da dove vengono, ma non è importante, almeno per loro) è la scelta di realizzare un EP con quattro brani anziché un long playing con almeno 10 piccoli gioielli grezzi; così quando arriviamo alla poesia di “Such A Life” e ci stiamo acclimatando a questi suoni e a questi effetti, ecco che tutto finisce; e finisce tristemente, con una ballata che ospita un pianoforte, giusto per rendere completa la depressione fine-del-disco-durante-una-giornata-di-pioggia.
“Suche A Life” dal vivo @ Arci Tambourine, MB
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Di Fabrizio Galassi